Corrado Ferlaino a aujourd'hui 72 ans et depuis juillet, il est devenu président du club de Ravenne, qui milite tranquillement en troisième division italienne, devant une moyenne de 1.500 personnes, dans un petit stade en banlieue de la superbe ville d'Emilie-Romagne, réputée pour ses mosaïques et ses ruelles bourgeoises.
Mais pendant 32 ans, de 1969 à 2001, il a présidé aux destinées du SS Napoli Calcio avant de céder 50% de ses actions dans le club en 2000 et de quitter définitivement le navire l'année suivante.
C'est donc lui qui était en place dans les années Maradona, la période en or de Naples, quand le club parthénopéen s'adjugeait deux Scudetti, deux Coupes d'Italie et une Coupe de l'Uefa. Une période bien lointaine pour une formation qui vivote en Serie B et qui apparaît plus souvent dans l'actualité pour ses problèmes financiers que pour ses exploits sportifs.
Et cette semaine, dans le quotidien napolitain Il Mattino, Ferlaino aura brisé un peu plus le coeur des tifosi azzurri en révélant quelques pratiques obscures lors d'une interview qui a fait grand bruit en Italie.
Interrogé sur les grands moments du club, Corrado Ferlaino s'est laissé aller sur plusieurs sujets.
Maradona. «C'est mon amour amer. Il m'attaque toujours et pense que je suis un ennemi et, pourtant, je l'ai sauvé des dizaines de fois. Surtout au contrôle antidopage. Du dimanche soir au mercredi, il prenait de la cocaïne. À partir du jeudi, il devait être propre pour qu'on ne remarque rien lors des contrôles. Mais en fin de parcours, en 1991, il a été contrôlé positif. Nous l'aidions, mais les cocaïnomanes se mentent aussi à eux-mêmes...»
Le doping. «La technique était simple: les joueurs allaient au contrôle antidopage en emportant un petit récipient rempli de l'urine d'un autre... Même les jeunes étaient drogués. La cocaïne était à la mode. Pour l'un d'entre eux, nous avons dû appeler son père, qui l'a roué de coups et lui a dit que s'il recommençait, il lui casserait les jambes...»
La corruption. Le titre de 1990 s'est joué le 22 avril. Nous (le club de Naples) étions très proches d'un arbitre, Lo Bello. Milan avait un autre homme en noir dans sa poche, Lanese, que nous appelions... milanese ! J'avais aussi de bons rapports avec le responsable des arbitres et des désignations. Il a envoyé Lo Bello au match Vérone - Milan. Il a exclu des Milanais, et Vérone s'est imposé 2-1. De notre côté, nous avions gagné tranquillement, et nous étions en route vers le titre...»
Voilà les morceaux les plus spectaculaires. Pour l'anecdote, Ferlaino a également ajouté qu'il a largement exagéré la gravité de la blessure du Brésilien Alemao, qui avait reçu une pièce de monnaie sur la tête lors d'un match à Bergame. «Nous avons tout mis en scène. Alemao a été transporté à l'hôpital mais il allait tout à fait bien. Or, devant les journalistes, j'ai pris mon air le plus attristé en disant que, cloué dans son lit, il ne m'avait même pas reconnu... On a gagné le match sur tapis vert.»
En Italie, tout le monde s'est levé pour protester contre les affirmations de Ferlaino, Maradona en tête, suivi par ses anciens équipiers, par Luciano Moggi, alors manager à Naples et aujourd'hui grand manitou à la Juventus.
Les arbitres mis en cause se sont aussi indignés, même si Rosario Lo Bello avait exclu Van Basten, Costacurta et Rijkaard à Vérone.
Et Ferlaino? Il a publié un communiqué face à la vague soulevée par l'interview. «Je n'ai voulu jeter de la boue sur personne. Et Naples restera l'amour de ma vie à jamais, c'est là que j'ai connu mes plus grosses émotions. J'ai simplement voulu donner quelques exemples pour expliquer comment on devait travailler durant cette période et combien c'était difficile...»
Source : dhnet.be
Le Naples de Maradona... ça fait peur !
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Pour ceux qui comprennent l'italien : va male...
Corrado Ferlaino ha un vezzo: ha sempre qualcosa d’azzurro con sè. Che so? Un ninnolo, la riga di una camicia, una cravatta. È il ricordo del Napoli che lo insegue. Spesso se ne sta nel suo hotel di lusso al corso Vittorio Emanuele, il San Francesco al Monte con tanto di panorama sulla fascia orientale della città. Uno sguardo sulla Napoli senza il pino di Posillipo, il golfo e le isole. Una veduta meno da cartolina e più reale soprattutto per la filiera di luci e colori che arrivano sino alle pendici del Vesuvio e quasi ci si arrampicano su. È qui che l’incontriamo ed è qui che Ferlaino parla come non mai. Un tempo lo chiamavano «nascondino» per quel suo modo di celare tutto del Napoli e del calcio, ora è l’opposto. Le sue verità su Maradona, sul doping, sono macigni e fanno male.
Lei ha scelto Ravenna, un’oasi del pallone, mentre altrove il calcio di serie A e serie B ribolle.
«A Ravenna c’è passione per il calcio, ma è misurata. Abbiamo mille abbonati e una media paganti di 500 spettatori. Però anche a Ravenna sono dovuto intervenire. La prima partita l’abbiamo pareggiata. I calciatori hanno giocato senza grinta, quasi hanno fatto il compitino. Mi sono arrabbiato, ho spedito tutti in ritiro, direttore sportivo compreso che sedeva beato in tribuna. Gli ho detto: lei deve stare negli spogliatoi, gomito a gomito con gli arbitri e i calciatori. La domenica successiva abbiamo battuto il Forlì per 1-0 con un gol di Moscelli».
Che tempi, ingegnere: dalla Juve al Forlì, da Maradona a Moscelli...
«Già Maradona, il mio amore amaro. Lui mi attacca sempre, mi ritiene un nemico, che ha fatto male a lui, al Napoli e a tutto il calcio. Eppure Maradona l’ho salvato decine di volte. Con l’antidoping soprattutto».
In che senso scusi?
«Mi ha accusa di averlo incatenato a Napoli ed è vero, ma l'ho fatto per il suo bene e per il bene del Napoli, vincemmo due scudetti e una coppa Uefa. Ma c’era anche un contratto da rispettare e che mi dava ragione. Torniamo al doping: dalla domenica sera al mercoledì Diego, come qualcun altro del Napoli, soprattutto calciatori giovani, era libero di fare quel che voleva, ma il giovedì doveva essere pulito, non so se mi spiego. Del resto, basta non assumere cocaina per un certo periodo di tempo perché questa non risulti alle analisi del dopo partita. Moggi, Carmando, il medico sociale chiedevano ai giocatori se erano a posto, allora non sapevo cosa accadeva, però qualche anno dopo sono venuto a conoscenza che si adottava un trucco: se qualcuno era a rischio gli si dava una pompetta contenente l'urina di un altro, l’interessato se la nascondeva nel pantalone della tuta e quando entrava nella stanza dell’antidoping, invece di fare il suo «bisognino» versava nel contenitore delle analisi l'urina «pulita» del compagno. Nonostante questo, Diego quel giorno del 1991 fu trovato positivo, Moggi gli aveva chiesto se era in condizione e lui rispose: sì lo sono, va tutto bene. Il fatto è che i cocainomani mentiscono a se stessi. Risultò positivo e quando l’allora presidente Nizzola mi chiamò in via confidenziale per darmi la notizia fu troppo tardi. Insistetti, gli dissi: presidente dimmi cosa posso fare, ma lui rispose: ormai non puoi fare più nulla».
Perché queste cose le dice solo ora? Oltretutto è una sua versione dei fatti. Potrebbe non essere vero e quindi essere smentito.
«Invece è proprio così. Addirittura quando vincemmo il secondo scudetto mi dovetti inventare un qualcosa per evitare che alla festa si presentassero estranei. Feci arrivare un pullman fino agli spogliatoi con le mogli dei calciatori già a bordo. Non volevo altri. Nemmeno i consiglieri, Punzo si arrabbiò moltissimo. Poveretto non c’entrava nulla, ma non potetti spiegarglielo. Da allora non siamo più amici. Dunque il pullman si diresse a Pozzuoli e s’imbarcò su un traghetto. Festeggiammo navigando nel golfo. Ci fu baldoria, ci ubriacammo. Ma evitai che la festa fosse macchiata dalla droga».
E ora cos’è l’antidoping, come funziona?
«Non si puo più andare in tuta a fare i controlli, bisogna essere nudi, quindi il trucco della pompetta è irrealizzabile. Adesso c’è una lista con dei numeri, ognuno corrisponde a un calciatore, il medico preposto li estrae a sorte. Ma non è difficile trovare medici amici. Per cui basta toccare con le mani inumidite dalla saliva i numeri dei giocatori sicuramente puliti, così i numeri diventano più luccicanti e quando si estrae si sa come scegliere. Una specie di sorteggio pilotato, insomma».
Ma torniamo al Napoli di allora, solo Maradona era a rischio?
«Anche qualche giovane, per loro era una moda non un vizio, sniffavano il lunedì e poi basta. Qualcuno però si fece prendere la mano. Ricordo che dovemmo telefonare al padre e farlo venire di corsa a Napoli. Questi, un tipo rude, riempì di botte il figlio e poi gli disse: se ci riprovi ti spezzo le gambe così non giochi più a calcio».
Tutto questo avveniva mentre il Napoli vinceva coppe e scudetti
«Sì, soprattutto il secondo fu, diciamo così, il più movimentato. Quello scudetto me lo ricordo bene per vincerlo dovetti impegnarmi molto».
Sono in arrivo altre verità tutte sue?
«Fu importante la partita Verona-Milan. Allacciai buoni rapporti con il designatore Gussoni. Il Milan aveva un arbitro molto amico: Lanese, detto «milanese». A noi, invece, era molto vicino Rosario Lo Bello e lo era perché meridionalista convinto. Il campionato si decise il 22 aprile: il Milan giocava a Verona, Gussoni designò Lo Bello per quella partita; successe di tutto, espulsioni, milanisti arrabbiati che scaraventarono le magliette a terra: persero 2-1. Noi vincemmo serenamente a Bologna per 4-2 e mettemmo in tasca tre quarti di scudetto».
E la monetina di Alemao?
«Fu colpito, forse ingigantimmo l’epidosio, ma la partita era comunque già vinta a tavolino. Facemmo un po’ di scena. L’idea fu di Carmando. Alemao all’iniziò non capì, lo portammo di corsa in ospedale, gli feci visita e quando uscii dichiarai addolorato ai giornalisti: «Non mi ha riconosciuto». Subito dopo scoppiai a ridere da solo, perché Alemao era bello e vigile nel suo lettino. Ma non è finita qui: il giocatore dopo un po’ ha abbracciato un’altra religione, mi sembra quella evangelista, secondo la quale la bugia è il peccato più grande. E Aleamo oggi vive con quel tormento dentro».
Lei di tormenti ne ha parecchi, ma qualcuno l’ha scampato, quello del calcio spezzato in due, della serrata della serie B, delle fideiussioni false. Aveva diabolicamente previsto tutto o è solo fortunato?
«Non solo fortuna, ho venduto il Napoli nel momento propizio. Che il calcio stesse precipitando in un burrone era chiaro da tempo. Juve, Milan e Inter sono i veri padroni del sistema, con la Juve una spanna più avanti degli altri. Agiscono sulle leve del potere, hanno grandi risorse, i migliori calciatori. Gli altri club sono invece sempre più poveri. La forbice s’è allargata e oggi sono scoppiate tutte le contraddizioni. I venti club di B si divideranno 90 milioni lasciando fuori le ripescate. Poveri illusi. Solo Della Valle rinuncerà alla sua quota. Per lui sono spiccioli. E forse sa pure che gli sarà riservato un trattamento particolare, scommetto sulla Fiorentina in A».
Ci sta anticipando un altro scandalo?
«No, è solo una previsione: bisognerà ridare alla Fiorentina quanto le è stato tolto. Del resto non c’erano le condizioni per far fallire il club durante la gestione Cecchi Gori. Oggi in più la Fiorentina ha Della Valle e non è poco. Lui è un potente dell’economia. Diciamo che i padroni del calcio lo vogliono quanto prima con loro».
Source : http://ilmattino.caltanet.it/hermes/200 ... T/SASA.htm
Lei ha scelto Ravenna, un’oasi del pallone, mentre altrove il calcio di serie A e serie B ribolle.
«A Ravenna c’è passione per il calcio, ma è misurata. Abbiamo mille abbonati e una media paganti di 500 spettatori. Però anche a Ravenna sono dovuto intervenire. La prima partita l’abbiamo pareggiata. I calciatori hanno giocato senza grinta, quasi hanno fatto il compitino. Mi sono arrabbiato, ho spedito tutti in ritiro, direttore sportivo compreso che sedeva beato in tribuna. Gli ho detto: lei deve stare negli spogliatoi, gomito a gomito con gli arbitri e i calciatori. La domenica successiva abbiamo battuto il Forlì per 1-0 con un gol di Moscelli».
Che tempi, ingegnere: dalla Juve al Forlì, da Maradona a Moscelli...
«Già Maradona, il mio amore amaro. Lui mi attacca sempre, mi ritiene un nemico, che ha fatto male a lui, al Napoli e a tutto il calcio. Eppure Maradona l’ho salvato decine di volte. Con l’antidoping soprattutto».
In che senso scusi?
«Mi ha accusa di averlo incatenato a Napoli ed è vero, ma l'ho fatto per il suo bene e per il bene del Napoli, vincemmo due scudetti e una coppa Uefa. Ma c’era anche un contratto da rispettare e che mi dava ragione. Torniamo al doping: dalla domenica sera al mercoledì Diego, come qualcun altro del Napoli, soprattutto calciatori giovani, era libero di fare quel che voleva, ma il giovedì doveva essere pulito, non so se mi spiego. Del resto, basta non assumere cocaina per un certo periodo di tempo perché questa non risulti alle analisi del dopo partita. Moggi, Carmando, il medico sociale chiedevano ai giocatori se erano a posto, allora non sapevo cosa accadeva, però qualche anno dopo sono venuto a conoscenza che si adottava un trucco: se qualcuno era a rischio gli si dava una pompetta contenente l'urina di un altro, l’interessato se la nascondeva nel pantalone della tuta e quando entrava nella stanza dell’antidoping, invece di fare il suo «bisognino» versava nel contenitore delle analisi l'urina «pulita» del compagno. Nonostante questo, Diego quel giorno del 1991 fu trovato positivo, Moggi gli aveva chiesto se era in condizione e lui rispose: sì lo sono, va tutto bene. Il fatto è che i cocainomani mentiscono a se stessi. Risultò positivo e quando l’allora presidente Nizzola mi chiamò in via confidenziale per darmi la notizia fu troppo tardi. Insistetti, gli dissi: presidente dimmi cosa posso fare, ma lui rispose: ormai non puoi fare più nulla».
Perché queste cose le dice solo ora? Oltretutto è una sua versione dei fatti. Potrebbe non essere vero e quindi essere smentito.
«Invece è proprio così. Addirittura quando vincemmo il secondo scudetto mi dovetti inventare un qualcosa per evitare che alla festa si presentassero estranei. Feci arrivare un pullman fino agli spogliatoi con le mogli dei calciatori già a bordo. Non volevo altri. Nemmeno i consiglieri, Punzo si arrabbiò moltissimo. Poveretto non c’entrava nulla, ma non potetti spiegarglielo. Da allora non siamo più amici. Dunque il pullman si diresse a Pozzuoli e s’imbarcò su un traghetto. Festeggiammo navigando nel golfo. Ci fu baldoria, ci ubriacammo. Ma evitai che la festa fosse macchiata dalla droga».
E ora cos’è l’antidoping, come funziona?
«Non si puo più andare in tuta a fare i controlli, bisogna essere nudi, quindi il trucco della pompetta è irrealizzabile. Adesso c’è una lista con dei numeri, ognuno corrisponde a un calciatore, il medico preposto li estrae a sorte. Ma non è difficile trovare medici amici. Per cui basta toccare con le mani inumidite dalla saliva i numeri dei giocatori sicuramente puliti, così i numeri diventano più luccicanti e quando si estrae si sa come scegliere. Una specie di sorteggio pilotato, insomma».
Ma torniamo al Napoli di allora, solo Maradona era a rischio?
«Anche qualche giovane, per loro era una moda non un vizio, sniffavano il lunedì e poi basta. Qualcuno però si fece prendere la mano. Ricordo che dovemmo telefonare al padre e farlo venire di corsa a Napoli. Questi, un tipo rude, riempì di botte il figlio e poi gli disse: se ci riprovi ti spezzo le gambe così non giochi più a calcio».
Tutto questo avveniva mentre il Napoli vinceva coppe e scudetti
«Sì, soprattutto il secondo fu, diciamo così, il più movimentato. Quello scudetto me lo ricordo bene per vincerlo dovetti impegnarmi molto».
Sono in arrivo altre verità tutte sue?
«Fu importante la partita Verona-Milan. Allacciai buoni rapporti con il designatore Gussoni. Il Milan aveva un arbitro molto amico: Lanese, detto «milanese». A noi, invece, era molto vicino Rosario Lo Bello e lo era perché meridionalista convinto. Il campionato si decise il 22 aprile: il Milan giocava a Verona, Gussoni designò Lo Bello per quella partita; successe di tutto, espulsioni, milanisti arrabbiati che scaraventarono le magliette a terra: persero 2-1. Noi vincemmo serenamente a Bologna per 4-2 e mettemmo in tasca tre quarti di scudetto».
E la monetina di Alemao?
«Fu colpito, forse ingigantimmo l’epidosio, ma la partita era comunque già vinta a tavolino. Facemmo un po’ di scena. L’idea fu di Carmando. Alemao all’iniziò non capì, lo portammo di corsa in ospedale, gli feci visita e quando uscii dichiarai addolorato ai giornalisti: «Non mi ha riconosciuto». Subito dopo scoppiai a ridere da solo, perché Alemao era bello e vigile nel suo lettino. Ma non è finita qui: il giocatore dopo un po’ ha abbracciato un’altra religione, mi sembra quella evangelista, secondo la quale la bugia è il peccato più grande. E Aleamo oggi vive con quel tormento dentro».
Lei di tormenti ne ha parecchi, ma qualcuno l’ha scampato, quello del calcio spezzato in due, della serrata della serie B, delle fideiussioni false. Aveva diabolicamente previsto tutto o è solo fortunato?
«Non solo fortuna, ho venduto il Napoli nel momento propizio. Che il calcio stesse precipitando in un burrone era chiaro da tempo. Juve, Milan e Inter sono i veri padroni del sistema, con la Juve una spanna più avanti degli altri. Agiscono sulle leve del potere, hanno grandi risorse, i migliori calciatori. Gli altri club sono invece sempre più poveri. La forbice s’è allargata e oggi sono scoppiate tutte le contraddizioni. I venti club di B si divideranno 90 milioni lasciando fuori le ripescate. Poveri illusi. Solo Della Valle rinuncerà alla sua quota. Per lui sono spiccioli. E forse sa pure che gli sarà riservato un trattamento particolare, scommetto sulla Fiorentina in A».
Ci sta anticipando un altro scandalo?
«No, è solo una previsione: bisognerà ridare alla Fiorentina quanto le è stato tolto. Del resto non c’erano le condizioni per far fallire il club durante la gestione Cecchi Gori. Oggi in più la Fiorentina ha Della Valle e non è poco. Lui è un potente dell’economia. Diciamo che i padroni del calcio lo vogliono quanto prima con loro».
Source : http://ilmattino.caltanet.it/hermes/200 ... T/SASA.htm